ISOLA LIRI - SAN SEBASTIANO, LA FESTA ALL'ARIA APERTA
- Tommaso Villa
I prati sulla collina di San Sebastiano, ad Isola del Liri, un tempo si animavano ogni Lunedì dell’Angelo. Per generazioni gli isolani hanno accolto la primavera salendo di buon’ora sul colle con ceste colme di vivande, in cerca di un posto pianeggiante e all’ombra degli ulivi.
Era l’evento più atteso dell’anno, una giornata da trascorrere insieme tra parenti e amici all’aria aperta, dopo i rigori dell’inverno. Già dal mattino presto le famiglie si affollavano sul colle provenendo da tutta la città, tanto che bisognava muoversi in anticipo per stendere la tovaglia sul fazzoletto di prato migliore.
Nel frattempo l'area nei pressi della chiesetta di San Sebastiano si popolava di bancarelle. I venditori ambulanti allineavano giocattoli e leccornie – frutta secca, “ciusce” e “necelle” e persino collane fatte di agrumi essiccati – disponendo tutto con ordine per non intralciare la tradizionale processione di mezzogiorno.
Già, perché la Pasquetta a San Sebastiano univa il sacro e il profano: i fedeli partecipavano a una sentita processione, mentre attorno i prati brulicavano di voci festanti. Terminati i riti, esplodeva la festa campestre: c’era chi improvvisava una partita a pallone badando a non disturbare i vicini, e chi iniziava a predisporre il pranzo sull’erba.
Sotto il cielo di primavera si consumava un banchetto condiviso, dove ognuno contribuiva con qualcosa. Si gustavano i piatti tipici preparati in casa: il timballo di pasta, la pizza rustica, il pollo con i peperoni, oppure l’abbacchio insaporito con uova e la coratella.
Il vino locale scorreva generoso tra i commensali adulti, mentre per i più piccoli c’erano gassosa e spuma. Al termine arrivavano i dolci: la Pigna e il ciambellone fatto di Pan di Spagna casalingo farcito di crema e cioccolato, spruzzato con liquore Strega e glassato con sambuca e zucchero a velo ed una cascata di confettini colorati.
Era una gioia semplice e genuina: dopo il caffè dal thermos, partivano i canti popolari, a volte anche un po’ goliardici, intonati dai più brilli e risuonavano le risate. Gli organetti, le fisarmoniche, i tamburelli o qualsiasi cosa che poteva emettere un suona echeggiavano per tutta la valle. Le donne bonariamente rimproveravano i cantori quando le stornellate diventavano troppo audaci per le orecchie dei bambini.
A sera, si scendeva in città stanchi e felici. Ciascuno tornava con qualche ricordo in più e magari con un “trofeo” simbolico: la melangola (un’arancia amara) acquistata sulle bancarelle, appesa in cucina a diffondere il suo aroma pungente per giorni. Nessuno la mangiava davvero, era troppo aspra, ma andava comprata per tradizione, come ricordo di quella giornata. Così come spesso si portava a casa "na ‘nserta de sasiccie secche", da attaccare alla credenza in attesa di tempi migliori.
Quella di Pasquetta a San Sebastiano era solo una scampagnata ma un rito collettivo che affondava le radici nel passato ed ogni anno fungeva da collante per la comunità. Da secoli gli isolani salivano su questo colle per il Lunedì di Pasqua, tramandando di padre in figlio l’usanza di “andare a San Sebastiano”. La collina, con la sua erbetta verde punteggiata di fiori primaverili e la veduta che spazia verso tutta Isola, Sora, Arpino e le colline circostanti, era il luogo ideale per inaugurare la bella stagione con un picnic in allegria.