ALATRI - LA TRISTE STORIA DI UNA DONNA VIOLENTATA E ABBANDONATA

  • Tommaso Villa

Oggi vogliamo raccontarvi una vecchia, drammatica storia.

Un anno fa il signor G. M. guida turistica di Roma, su consiglio del consuocero A. C. un ex calciatore dell'Alatri degli anni 70 decise di organizzare una visita guidata alla città ernica, per i familiari di alcuni dipendenti di alcune ambasciate e consolati residenti a Roma. Qualche mese dopo il signor M. frugando in soffitta ritrovò due cartoline di Alatri, e in questo contesto riaffiorarono alcuni ricordi della sua fanciullezza.

"Ho conosciuto Alatri nome così insolito per me da bambino - racconta il signor M. - e poichè vi viveva il figlio della nostra amata bambinaia e domestica V. T. chiamata semplicemente Rina. Una donna piena di attenzioni e affetto, nonostante la sua leggera lentezza nel pensare. La nostra famiglia nel 1943 si trasferì da Siracusa a Roma, prima in una stanza in affitto e poi in un appartamento nel quartiere Flaminio. Papà aveva trovato un impiego nel campo marittimo e mamma, successivamente iniziò ad insegnare l'inglese, prima di allora era stata maestrina a nell'isola di Malta.

Eravamo felici di abitare a Roma perché ancora non si erano verificati i bombardamenti. Avevo 5 anni - continua la sua storia con emozione G. M. e il mio fratellino solo 3, ci affezionammo subito a Rina, che venne a casa nostra su consiglio di una lontana zia. Ella badava a noi e ci permetteva anche delle libertà, con pazienza copriva le nostre marachelle, insomma era nostra complice. Purtroppo si faceva imbrogliare nell'uso della tessera di razionamento alimentare, ma cucinava cose buone che nemmeno nostra madre sapeva fare. Per esempio i "cardi al burro" un lusso per quegli anni! Dei pomeriggi, addirittura ci portava a due diversi cinema: quello parrocchiale e quello al Flaminio, ora Teatro Olimpico, utilizzando i soldi del suo stipendio.

Fu lei che ci acquistò le prime letture di Salgari che stimolarono la passione per l'Oriente e per i viaggi. Quei libri dopo tantissimi anni ancora li conservo con tenero ricordo filiale. Io e il mio fratellino eravamo troppo piccoli per comprendere la triste storia di Rina: non di bell'aspetto fisico e purtroppo un po' ritardata mentalmente. Rina era stata violentata da un falegname romano e d aveva lasciato Cortona dopo aver perso i genitori a causa dell'influenza "Spagnola", e fu allevata dalla nonna. Aveva peregrinato dapprima a Napoli e poi a Roma lavorando sempre e solo come domestica.

E poi nacque il figlio, del quale preferiamo omettere il nome, dal quale purtroppo fu costretta a separarsi per permettere ad una balia di Alatri di allevarlo e poi avviarlo ad attività pastorale. Mamma e figlio si incontravano molto raramente - continua nel suo racconto G. M. Lui crebbe con la vergogna della dicitura "N.N." sul suo documento. Lavorava in un contesto difficile e parlava poco. Il figlio chiamava Rina con il suo nome e non mamma, il destino lo privò di una madre diciamo normale e lei non ebbe mai la gioia di ascoltare la parola "Mamma" da lui. Con gli anni i figli di Rina diventammo io e il mio fratellino, sotto gli occhi di mia madre, della sua severità anche perché impegnata nell'insegnamento. Solo da adulto compresi il dramma di Rina e del figlio.

Per Rina portammo sempre grande rispetto e la stessa cosa hanno fatto i miei figli qualche anno più tardi. Il figlio di Rina riuscì a trovare lavoro grazie anche a mio padre finché non fu assunto stabilmente a Roma. Pochi incontri con la mamma, lui non voleva nulla a che fare con lei e a Rina questo dispiaceva non poco. Rina rimase a casa con noi fino a quando maturò la pensione e iniziò un lungo soggiorno in una casa di riposo a Trastevere ma non lontano da casa nostra.

Il figlio riuscì a rintracciare il padre naturale, che nel frattempo era diventato un ricco commerciante, ma questi con l'inganno gli fece credere che Rina era una poco di buono. Cosa non vera assolutamente. L'amore che Rina nutriva per noi rappresentava una spina nel fianco per il figlio, una persona rude, forse anche buona, in fondo soffriva anche per lui per quella situazione. Noi in famiglia non riuscimmo ad avere un rapporto sereno con il figlio. Qualche anno dopo si sposò ma non volle che i figli incontrassero la nonna Rina che voleva delle aspettative e donare regali ai nipoti, cosa che non avvenne mai".

Bruno Gatta