ISOLA LIRI - LA PASQUETTA A SAN SEBASTIANO

  • Tommaso Villa

Ci si alzava la mattina presto per prendere un posto nel prato, che fosse anche in piano ed ombreggiato. Si doveva essere celeri perché la collina sarebbe stata affollata dalle famiglie che giungevano da tutta Isola. Era un appuntamento che si aspettava per un anno intero; una giornata da passare insieme piccoli e grandi. Lo zio Alfredo era incaricato di scegliere il posto. Noi arrivavamo qualche ora dopo, preferivamo a piedi nonostante le pesanti borse. Ricorderò sempre quella famiglia in Vespa: la donna dietro, saldamente aggrappata ai fianchi del marito ed il bambino davanti, con lo sguardo da adulto, stretto tra le ginocchia del padre, insieme alla borsa con il pasto da consumare. Le bancarelle con i giocattoli e con la frutta secca, “ciusce”, necelle" e castagne erano disposte lungo la strada in maniera ordinata affinché non intralciassero la processione che arrivava verso le 11,30 con una lunga e folta coda di fedeli. Poi qualche calcio al pallone, badando bene di non disturbare i vicini, una larga tovaglia sull’erba e si incominciava, ognuno aggiungeva al pranzo qualcosa portata da casa: il timballo, la pizza rustica, il pollo con peperoni ma anche l’abbacchio strapazzato con l’uovo, “la curatella”, vino a volontà per i grandi, gassosa e spuma per i piccoli. Alla fine la pigna e la torta di pan di spagna, cotta al forno sotto casa, farcita con crema e cioccolata e spruzzata con abbondante “Strega” e poi il caffè ancora caldo del thermos. Una grande abbuffata e tanto ridere! Il vino scorreva e alimentava l’allegria, abbatteva ogni residuo tabù, i maschi cantavano canzoni da “caserma”, in un gioco domanda-risposta, non propriamente adatte ai bambini che maliziosamente ascoltavano e per questo si alzava forte il rimprovero delle donne… non curanti continuavano, fino a quando non spariva il vino e si raccattavano i piatti, le pentole e i bicchieri sparsi nell’erba. All’imbrunire quando si scendeva a piedi per tornare a casa era un momento di grande tristezza. Il giorno dopo si doveva tornare a scuola o al lavoro. Qualcuno era incerto nei passi, barcollava alla ricerca di una comoda pietra per sedersi… aveva esagerato con il vino. La sera non restava che l’aroma della “melancella”, per giorni appesa in cucina, che nessuno mangiava perché era acre e amarognola, ma che per tradizione si doveva comprare e “la 'nserta” di castagne fissata ad un appiglio della credenza.

Luciano Duro