ISOLA LIRI - OFFICINA MECCANICA MANCINI E MAINELLA
- Tommaso Villa
“Il sole di luglio da alla testa, prenderai un'insolazione, tuo zio ti insegnerà qualcosa che ti sarà utile da grande” diceva mia madre. Era il 1957, sembra ieri, il tempo è volato via e non c'è stato modo di afferralo. Lo zio Antonio Mainella aveva un'officina meccanica in società con Antonio Mancini, i due erano cresciuti insieme in quei locali di fronte la scuola elementare Garibaldi, quella rossa, una piccola azienda che avevano ereditato dai padri, già attiva con i nonni, la cui storia era direttamente collegata agli inizi della industrializzazione della Media Valle del Liri. Erano meccanici seri e professionalmente preparati che producevano o riparavano componenti per le macchine delle industrie. A quei tempi Isola del Liri era una fiorente cittadina industriale, l'organizzazione nella fabbrica perfetta: quando il pezzo dava segni di usura, il modello in legno della stessa dimensione, veniva rapidamente portato in officina e riprodotto identico, immune da difetti o errori. Era un efficiente modo per non interrompere la produzione. Che io ricordi quel qualificato laboratorio meccanico, raccontava la storia, la vita e le tradizioni delle officine che lavoravano a supporto delle aziende. Gli attrezzi di lavoro: raspe, lime, morsetti, erano ordinatamente disposti in una rastrelliera porta utensili, quelli più delicati come i calibri, i trapani e il set di punte, la livella a bolla, nell'armadio di metallo. All'interno due torni di differente dimensione e una pressa, un forno e il banco con le morse. Nella stanza accanto c'era l'ufficio, con l'archivio dei documenti e i registri, ma anche una piccola biblioteca per confrontare i percorsi quando il lavoro era complesso e presentava difficoltà di esecuzione. In un angolo, attaccato saldamente al muro, un grande pensile verniciato di bianco con una croce rossa ad indicare una “infermeria” di pronto intervento. Nell'officina lavoravano non memo di cinque apprendisti, ragazzi giovani che volevano imparare il mestiere, lo zio Antonio era molto gratificato da quelle presenze, garbato ma autorevole era per loro il maestro di scuola e da lui come dal socio avevano tanto da apprendere. I ragazzi, erano in regola con le assunzioni, perchè il lavoro in officina richiedeva attenzione, andava affrontato con estrema cautela. Erano presenze temporanee, quando crescevano e già pronti c'erano le fabbriche ad attenderli, al loro posto altri li sostituivano. Lo zio Antonio Mainella era un uomo di grande esperienza e rigore morale, aveva combattuto in Africa ed era stato prigioniero degli inglesi, tornò a casa che la guerra era già finita da un pezzo, sposò la sorella di mia madre e riprese a lavorare con solerzia e dinamicità. Aveva nei miei confronti un intenso rapporto affettivo ma in officina era alieno da indulgenze nell'esercizio della sua autorità. Sapeva che non sarei mai diventato un meccanico ma ciò che a lui interessava era insegnarmi il senso del dovere, della responsabilità e dell'impegno. Spesso inventava per me lavori che fingeva essere importanti e così mi dava un pezzo di ferro da “sgrossare” con la lima e portarlo a misura con il calibro, di tanto in tanto mi controllava senza mostrare cedimenti per così dire affettivi. Avevo nove anni allora, e quell'esperienza “lavorativa” dell'estate, durò fino alla terza media. Alla fine della giornata, mi sporcava la faccia e le mani di grasso “così tua madre capirà che hai lavorato”, affermava.
LUCIANO DURO