SANITA' - MADRE RACCONTA COME LE HANNO SALVATO IL BIMBO
- Tommaso Villa
Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una nostra concittadina, una mamma che ha voluto raccontare la sua esperienza con la sanità territoriale. Da premettere che adesso fortunatamente il piccolo Riccardo sta bene e questa è la cosa più importante ma è bene approfondire e riflettere sull'accaduto.
Ci sono momenti in cui un minuto può fare la differenza. Noi abbiamo avuto una seconda possibilità, ma non riesco a smettere di pensare: e se non fosse stato così? Ho scritto questa lettera per raccontare quello che è successo a mio figlio Riccardo, perché certe cose non dovrebbero mai dipendere dal caso. Vi chiedo solo di leggerla, perché riguarda tutti noi.
𝐋𝐮𝐧𝐞𝐝𝐢̀ 𝟐𝟒 𝐟𝐞𝐛𝐛𝐫𝐚𝐢𝐨. Quel pomeriggio, alle 18:30, mio figlio Riccardo, 2 anni, è caduto da uno sgabello in casa. Un incidente apparentemente banale, ma con il passare delle ore qualcosa ha iniziato a non convincermi.
Dopo qualche ora ha vomitato e, preoccupati, alle 22:30 siamo partiti per l’ospedale.
Arrivati al 𝐏𝐫𝐨𝐧𝐭𝐨 𝐒𝐨𝐜𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐒𝐩𝐚𝐳𝐢𝐚𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐅𝐫𝐨𝐬𝐢𝐧𝐨𝐧𝐞, dopo il triage, ci hanno inviati in pediatria, dove purtroppo abbiamo trovato 𝐮𝐧’𝐚𝐬𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐟𝐫𝐞𝐭𝐭𝐨𝐥𝐨𝐬𝐚 𝐞 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐟𝐢𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞.
Abbiamo riferito con chiarezza due sintomi chiave: Riccardo aveva vomitato a casa, di nuovo al Pronto Soccorso e successivamente in reparto. Tanto che, in pediatria, hanno persino messo una traversina per terra, come se il problema fosse solo quello di non sporcare.
Inoltre, avevamo segnalato che, a nostro avviso, aveva un atteggiamento anomalo, passivo e poco reattivo, sintomi che, a rigor di logica, avrebbero dovuto far scattare un campanello d’allarme.
Eppure, nonostante tutti questi segnali, 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢𝐬𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧 𝐞𝐬𝐚𝐦𝐞 𝐝𝐢𝐚𝐠𝐧𝐨𝐬𝐭𝐢𝐜𝐨 se non un controllo visivo e colloquiale.
Ma c’è di più. Sul referto medico della prima notte, la dottoressa ha scritto come esito “𝑐𝑎𝑑𝑢𝑡𝑎 𝑎𝑐𝑐𝑖𝑑𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑙𝑒𝑠𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑡𝑟𝑎𝑢𝑚𝑎𝑡𝑖𝑐ℎ𝑒”.
𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐚𝐟𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢 𝐬𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐥𝐞𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐮𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐚𝐯𝐞𝐫 𝐞𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐭𝐨 𝐧𝐞𝐦𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐓𝐀𝐂?
Una semplice osservazione clinica non può escludere un trauma interno. Una TAC avrebbe potuto cambiare tutto già quella notte.
E invece, dopo quattro ore trascorse tra le mie braccia su una sedia, alle 4 del mattino ci è stato detto di tornare a casa perché i parametri erano nella norma.
𝐈𝐥 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐨 𝐝𝐨𝐩𝐨
Martedì abbiamo tenuto Riccardo a casa dall’asilo, ancora preoccupati per il suo stato.
Abbiamo consultato la pediatra di famiglia, che lo ha visitato con attenzione. Tuttavia, senza alcun esame diagnostico da valutare, anche lei non ha potuto far altro che basarsi su ciò che aveva davanti: un bambino apparentemente calmo.
Nel pomeriggio, abbiamo iniziato a convincerci che fosse stato solo lo spavento a renderlo così remissivo e apatico.
E ancora oggi non riusciamo a scrollarci di dosso il senso di colpa per non aver insistito di più.
𝐌𝐞𝐫𝐜𝐨𝐥𝐞𝐝𝐢̀: 𝐢𝐥 𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐜𝐢𝐬𝐢𝐯𝐨
Mercoledì mattina, Riccardo è tornato all’asilo, e le maestre hanno subito notato che qualcosa non andava.
𝐒𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐞 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐚 𝐟𝐚𝐫 𝐬𝐜𝐚𝐭𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐞𝐧𝐭𝐨, ma resta il fatto che tutto sia dipeso dal caso: se quel giorno non fosse andato, quanto tempo sarebbe passato prima di accorgercene?
Le maestre hanno segnalato un comportamento anomalo, un’apatia insolita, e ci hanno contattati invitandoci ad approfondire la situazione.
Quel segnale ci ha allarmati, e senza esitazione siamo corsi nuovamente al Pronto Soccorso dello Spaziani, lo stesso ospedale che due notti prima ci aveva rimandati a casa con un semplice invito a monitorare eventuali peggioramenti.
𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐚, 𝐩𝐞𝐫𝐨̀, 𝐥𝐚 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐨𝐬𝐭𝐚 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐥𝐞𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚.
𝐅𝐢𝐧𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐜𝐜𝐡𝐢𝐧𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐟𝐞𝐭𝐭𝐚
Abbiamo trovato una macchina perfetta, un sistema che ha funzionato con lucidità, tempestività ed estrema professionalità.
Medici, infermieri, pediatra, anestesista: tutti hanno agito in sinergia, senza esitazioni, prendendo immediatamente in carico Riccardo e sottoponendolo con urgenza alla TAC.
Nessuno ha minimizzato. Nessuno ha avuto fretta. Nessuno mi ha lasciata sola.
Nonostante il panico che cresceva dentro di me, mi sono trovata di fronte persone che hanno saputo indicarmi con chiarezza e umanità ogni passaggio, spiegandomi la situazione, la gravità e cosa sarebbe accaduto nei minuti successivi.
In pochi istanti tutto era chiaro, deciso e organizzato.
𝐋’𝐞́𝐪𝐮𝐢𝐩𝐞 𝐦𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐡𝐚 𝐝𝐢𝐬𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐟𝐞𝐫𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐢𝐦𝐦𝐞𝐝𝐢𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐑𝐢𝐜𝐜𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐚𝐥𝐥’𝐨𝐬𝐩𝐞𝐝𝐚𝐥𝐞 𝐆𝐞𝐦𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐑𝐨𝐦𝐚, accompagnato da un anestesista specializzato e da un pediatra per garantire un viaggio sicuro.
Professionisti eccezionali, che hanno viaggiato con me, rassicurandomi e monitorando mio figlio senza mai abbassare la guardia.
Arrivati al Gemelli, Riccardo è stato preso in carico dal reparto di 𝐓𝐞𝐫𝐚𝐩𝐢𝐚 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐧𝐬𝐢𝐯𝐚 𝐏𝐞𝐝𝐢𝐚𝐭𝐫𝐢𝐜𝐚 (𝐓𝐈𝐏) e, dopo qualche ora, il dottor Paolo Frassanito ha eseguito l’intervento.
Giovedì mattina è stato trasferito nel reparto di neurochirurgia infantile e venerdì mattina è stato dimesso.
𝐔𝐧𝐚 𝐫𝐢𝐟𝐥𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐚𝐫𝐢𝐚
Oggi Riccardo sta bene, e questa lettera non vuole essere una polemica, ma una riflessione.
𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐬𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐚𝐥𝐥’𝐚𝐬𝐢𝐥𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐟𝐨𝐬𝐬𝐞 𝐚𝐫𝐫𝐢𝐯𝐚𝐭𝐚?
Non sempre si ha una seconda possibilità. Non sempre si ha il tempo di tornare indietro.
Ecco perché la buona sanità non può e non deve mai essere una questione di fortuna.
Abbiamo visto entrambi i volti della sanità: quello frettoloso e superficiale della prima sera, e quello impeccabile ed efficace di mercoledì mattina.
Se oggi posso raccontare questa storia a lieto fine, è grazie a tutte le persone che, con professionalità e umanità, hanno contribuito a salvare mio figlio.
𝐫𝐚𝐳𝐢𝐞 𝐚: ✔ Il pediatra Antonio Augusto Niccoli ✔ Francesco Proia, infermiere dello Spaziani ✔ Renato Dell’Uomo, anestesista ✔ Il dottor Paolo Frassanito, neurochirurgo del Gemelli ✔ Tutto il reparto di neurochirurgia infantile del Gemelli ✔ L’ambulanza, i medici e gli infermieri dello Spaziani ✔ Le maestre dell’asilo nido di Lidia Battista
𝐆𝐫𝐚𝐳𝐢𝐞 𝐚 𝐜𝐡𝐢 𝐡𝐚 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐦𝐢𝐧𝐮𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐚𝐯𝐚.
Il vostro lavoro ha salvato mio figlio.
Questa è la mia storia. Una storia a lieto fine.
Ma non tutte lo sono.
𝘿𝒂𝙣𝒊𝙚𝒍𝙖, 𝒖𝙣𝒂 𝒎𝙖𝒎𝙢𝒂, 𝙖𝒅𝙚𝒔𝙨𝒐 𝒇𝙚𝒍𝙞𝒄𝙚.