ISOLA LIRI - "LI PORTO TUTTI NEL CUORE"

  • Tommaso Villa

ANNO SCOLASTICO 1956 - 1957 Li porto tutti nel cuore. DA SINISTRA fila in alto : Aldo Tomassi, Luciano Duro, Pino Cancelli, Maurizio De Blasi, Aldino De Filippis, Maestro Americo Papetti, Gaetano Tinè, Antonio Indigeno, Enzo Quadrini, Giustino Gallone, Fernando Mezzone DA SINISTRA seconda fila: Franco Villa, Ernesto Verdone, Luigi Venditti, Franco Iafrate, Alberto Marchione, Rodolfo D'Orazio, Daniele Macciocchi, Franco Avella, Angelo Loffreda, Lucio Gabriele . DA SINISTRA in basso: Anito Del Signore, Massimo D'Anna, Fausto Belfiore, Orazio D'Ammassa, Ivo Catallo, Romoletto Gabriele

IL MAESTRO

Veniva da Veroli con la sua Vespa 125, una delle prime in circolazione, indossava un impermeabile di nylon, sottilissimo e trasparente di colore blu scuro, un basco della stessa fibra, cacciato stretto in testa e fermato alla circonferenza da un elastico. Quando arrivava si toglieva solennemente, come in un rituale, prima il basco che lasciava un evidente segno dell’elastico sulla fronte, poi l’impermeabile, badando bene a non far saltare i bottoni che a stento erano sostenuti da un tessuto troppo fragile. Successivamente ripiegava il tutto e lo poneva con cura sotto il vano della sella, dal quale traeva una cartella nera. Quando ogni cosa era a posto e la Vespa dentro il cortile, dalla enorme giacca grigia, incominciava a tirar fuori caramelle piccolissime. Non ricordo di averne viste e assaporato così buone negli anni a venire… E noi tutti intorno ad attendere il granturco dal fattore come tanti pulcini.

I miei ricordi di bambino erano quelli di un maestro altissimo, dagli occhi azzurri che non aveva bisogno di parlare ad alta voce per farsi ascoltare, da lui ho appreso tante cose, forse più di quanto altri hanno cercato di insegnarmi, poiché ho imparato da solo il poco che conosco. Lui mi ha insegnato a leggere e scrivere ma soprattutto ad avere autonomia di pensiero. Ero tra i suoi preferiti, ma non lo dava ad intendere e spesso per spronarmi allo studio metteva voti più bassi di quanto maritassi:” Da te pretendo di più, ti limiti all’indispensabile”, così mi redarguiva. Quando presentava la storia diceva che la storia non s’insegna ma insegna. Mi ammoniva sempre: “Se da grande incontrerai qualcuno che per farti un complimento dirà che sei sempre lo stesso e sempre uguale, non prenderlo sul serio perché non ha capito che ogni età ha il suo tempo e che il tempo serve per crescere ed imparare non per restare ignoranti allo stesso modo. Io ti trasmetterò quello che posso, ma quando sarai grande non credere di sapere tutto, neanche allora smetterai di apprendere, perche nella vita c’è sempre da imparare. ”.

L’aula era in fondo, al secondo piano, le pareti grigie e sicuramente ricavata dal corridoio. Ricordo una gigantesca carta geografica dell’Italia Sabauda, il Crocifisso alla parete, le macchie d’inchiostro ovunque e di fuori, nei pressi dei bagni, due manifesti che incutevano terrore, il primo rappresentava un bimbo mutilato per aver incautamente giocato con un ordigno, trovato tra le macerie, il secondo del ministero della salute pubblica che obbligava il vaccino antipolio. Era lo stesso medico condotto che, con nostro grande terrore, provvedeva alla vaccinazione venendo direttamente a scuola. I compagni li conoscevo bene, conservo nella memoria il giorno e l’ora in cui il mio sguardo si posò lentamente su ognuno, tutti con il grembiule nero, il colletto bianco inamidato e l’ampio fiocco. Li vedo seduti, fermi come statue, sopra le panche, poggiati sui banchi neri di legno massiccio e sento l’odore acre, muschioso, di trenta pesanti cappotti invernali. A scuola si portavano poche cose, in una cartella di cartone resistente, marrone color cuoio: due quaderni con la copertina nera, i libri di grammatica e di matematica. Poi l’astuccio di legno con dentro la matita, il temperino, la penna e i pennini di ricambio con la punta “a torre”, una gomma per cancellare dal doppio uso; la parte azzurra, dura per l’inchiostro, quella beige morbida per la matita. Nella cartella immancabile la carta assorbente.

Finita la scuola, appena pranzato, tutti a giocare dietro a Trito, e la sera di corsa a fare i compiti, prima che la sirena della fabbrica annunciasse il ritorno dei nostri padri. Rividi il mio maestro tanti anni dopo, ero già grande. Organizzarono una festa d’addio per la sua pensione e fui invitato come presidente della Pro Loco, mi riconobbe subito e mi abbracciò forte. Disse: “sei cambiato, sei diventato un uomo, non fermarti mai di crescere” … Sapevo cosa intendeva. Io ero imbarazzato, non sembrò così alto come lo ricordavo e gli occhi erano castani… ma si sa i bambini sono piccoli e guardano con occhi buoni.

LUCIANO DURO